Le siége de Corinthe, tragédie lyrique

Soggetto

Le siège de Corinthe, tragédie lyrique in tre atti su libretto di Luigi Balocchi e Alexandre Soumet, fu rappresentata per la prima volta al Théâtre de l’Académie Royale de Musique di Parigi il 9 ottobre 1826.

Interpreti della prima rappresentazione furono Henri-Etienne Dérivis (Mahomet II), Louis Nourrit (Cléomène), Laura Cinti-Damoreau (Pamyra), Adolphe Nourrit (Néocles), Alex Prévost (Hiéros), Bonnel (Adraste), Ferdinand Prévost (Omar), M.lle Frémont (Ismène).

Gli autografi sono conservati presso la Fondazione Rossini di Pesaro, Conservatorio e Opéra di Parigi, nella Collezione Nydahl di Stoccolma, Stiftelsen Musikkulturens Främjande e presso il Fondo Piancastelli di Forlì.

L’opera è un rifacimento del Maometto II.

Atto primo

Vestibolo del Palazzo del Senato

Conquistata Costantinopoli nel 1453 e decapitato il millenario impero bizantino, sei anni dopo i Musulmani, al comando del terribile sultano Maometto II, stringono di assedio Corinto. Sgomenti e allo stremo delle forze, i difensori della città greca si raccolgono intorno al governatore Cléomène: resistere fino all’ultimo sangue, oppure arrendersi al nemico? Il condottiero Néoclès e il vecchio Hiéros esortano i combattenti ad affrontare con coraggio l’ultimo sacrificio, per l’onore della Grecia. Usciti i guerrieri, Néoclès ricorda a Cléomène la promessa di dargli in sposa la figlia Pamyra. La calamità incombente suggerisce al governatore di affrettare tali nozze, che dovrebbero assicurare alla figlia il valido sostegno del giovane guerriero; ma a tale decisione Pamyra appare riluttante e alla fine rivela di avere giurato fede ad un altro uomo, chiamato Almanzor, conosciuto in Atene tempo addietro. Opposti i motivi, uguale lo sconcerto e il dolore dei tre. Un coro annuncia prossimo l’assalto del nemico e mentre Cléomène e Néoclès si uniscono ai difensori delle mura, Pamyra promette al padre che se la sorte dovesse volgere al peggio per i Greci, ella si toglierà la vita col pugnale che egli le ha dato.

La scena si muta in una piazza di Corinto, invasa dai Turchi che minacciano dure rappresaglie per coloro che resisteranno. Acclamato dai suoi, giunge Mahomet, il quale ordina che i capolavori d’arte che adornano Corinto vengano rispettati, a testimonianza del suo amore per il bello. Omar riferisce al suo signore che tutta la città è presa, tranne la fortezza che ancora resiste. Uno dei capi greci è stato fatto prigioniero e Mahomet ordina che venga risparmiato e gli sia condotto innanzi: vuole interrogarlo prima di proseguire la sua marcia di conquista verso Atene, dove anni prima ha soggiornato in incognito e dove ha conosciuto una fanciulla di cui è ancora innamorato. Il prigioniero è Cléomène: Mahomet gli chiede di ordinare ai suoi di deporre le armi, e, al suo rifiuto, minaccia di sterminare tutti i superstiti difensori della città. Ma ai piedi del vincitore si getta Pamyra, e gli amanti di un tempo riconoscono l’un l’altro. Mahomet, felice, si dice pronto a sposare Pamyra: in cambio, egli userà clemenza con la Grecia. Ma Cléomène rammenta alla figlia che ella è promessa a Néoclès, e, all’indecisione della fanciulla, la maledice. Furente, Mahomet torna a minacciare vendetta se il suo desiderio verrà contrastato.

Atto secondo

Padiglione di Mahomet

Si appresta la cerimonia nuziale che dovrebbe unire Mahomet a Pamyra, ma la fanciulla, combattuta tra l’a­more e il dovere, invoca l’aiuto della madre morta. In un accorato colloquio, Pamyra manifesta a Mahomet il suo stato d’animo; il Sultano le ribadisce che da quelle nozze dipenderà la salvezza del suo popolo. Tra canti, danze e preghiere, sta per avere inizio il rito nuziale, quando si ode un tumulto, destato dalla fierezza di Néoclès, che sopraggiunge a minacciare la rivolta dei Greci. Pamyra riesce a sottrarlo all’ira di Mahomet facendolo passare per suo fratello: il Sultano lo fa liberare dalle catene, ingiungendogli di essere testimone delle nozze che intende affrettare. Néoclès rifiuta sdegnato, ma intanto Omar annuncia che Corinto è insorta in un estremo, disperato tentativo di riscossa che vede le donne greche unite ai guerrieri. Dalla cittadella, Cléomène chiama la figlia, la quale non può sottrarsi a quel richiamo e si allontana con Néoclès e i Greci: un tempo aveva amato Mahomet come Almanzor, ora lo fugge come nemico della patria. Scatenati dall’ira estrema del loro capo, i Turchi si apprestano alla rappresaglia.

Atto terzo

Sepolcreto di Corinto

Adraste annuncia a Néoclès che tutto è perduto: tra quelle tombe è l’ultimo rifugio dei Greci superstiti. Si odono le voci di Pamyra e delle donne che invocano Dio; e alla loro preghiera si unisce quella di Néoclès, felice di potere almeno trascorrere gli ultimi istanti di vita accanto alla donna amata. Sopraggiunge Cléomène che crede ancora la figlia rinnegata e spergiura: ma Pamyra viene a gettarsi ai suoi piedi, e Néoclès testimonia la sua fedeltà alla patria. A sua volta, la fanciulla assicura che la sua passione per Mahomet è spenta e si dichiara sposa in vita e in morte di Néoclès: Cléomène commosso benedice la coppia e i tre si uniscono in un ultimo abbraccio. Sopraggiunge Hiéros con un pugno di armati sopravvissuti all’ultima battaglia: il nemico ha circondato il sepolcreto e la catastrofe è imminente. Come rapito da fuoco profetico, Hiéros annuncia che dopo secoli di servitù sotto il giogo turco, la patria riotterrà la libertà: pronti all’estremo sacrificio, i Greci vanno incontro al nemico invocando gli eroi di Maratona e delle Termopili. Rimaste sole, Pamyra e le donne si raccolgono in preghiera invocando la morte liberatrice. Sbaragliati gli ultimi difensori, Mahomet con i suoi irrompe, deciso a far sua Pamyra, ma la fanciulla si dà la morte mentre tutto intorno crolla e Corinto scompare tra le fiamme di un immenso incendio.