Armida

Soggetto

Armida, dramma per musica in tre atti su libretto di Giovanni Schmidt, fu rappresentata per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli il 9 novembre 1817.

Interpreti della prima rappresentazione: Giuseppe Ciccimarra (Goffredo e Carlo), Andrea Nozzari (Rinaldo), Michele Benedetti (Idraote), Isabella Colbran (Armida), Claudio Bonoldi (Gernando e Ubaldo), Gaetano Chizzola (Eustazio e Astarotte).

Antefatto

I guerrieri crociati assediano ormai da tempo la città di Gerusalemme per liberare il Santo Sepolcro: li capeggia Goffredo di Buglione. Idraote, re di Damasco dotato di poteri magici, ha ordito uno strategemma per indebolire le truppe cristiane: la nipote Armida, anch’essa maga e sua complice nella trama, dovrà fingersi sua nemica e chiedere aiuto ai cristiani contro di lui. In realtà ciò dovrà servire ad allontanare dall’assedio di Gerusalemme i più valorosi tra i crociati.

Atto primo

Presso il campo cristiano, nelle vicinanze di Gerusalemme, Goffredo di Buglione invita i soldati ad onorare la salma di Dudone, capo dei paladini franchi. Eustazio, fratello di Goffredo, introduce la bellissima Armida, accompagnata, sotto mentite spoglie, da Idraote. Armida rivela come, unica erede al trono di Siria, questo le sia stato usurpato da Idraote: per riconquistarlo si appella ora alla magnanimità di Goffredo e lo prega di inviare i dieci paladini più valorosi contro l’usurpatore. Il comandante cristiano promette che appagherà il desiderio di Armida ma solamente dopo che Gerusalemme sarà stata liberata. Tuttavia Eustazio e gli altri paladini, mossi a pietà e colpiti dalla bellezza di Armida, insistono presso Goffredo e questi alla fine, nonostante avverta un sinistro presagio, acconsente alle richieste della donna. I paladini eleggono intanto quale successore di Dudone e loro capo Rinaldo: egli dovrà, per ordine di Goffredo, scegliere i dieci paladini per l’impresa. Eustazio ed altri cristiani, ormai invaghiti di Armida, seguono nel frattempo la maga ed Idraote nelle loro tende. L’elezione di Rinaldo provoca però la rabbia di Gernando, paladino franco desideroso a sua volta di ricoprire l’alto grado ed invidioso che esso sia stato affidato ad un giovane italiano: egli perciò giura vendetta. Idraote è soddisfatto per l’andamento del suo piano, poiché già alcuni guerrieri sono nelle sue mani; egli incita la nipote a far cadere nei suoi lacci in particolar modo il più valoroso tra i nemici, Rinaldo. Questi s’avanza e si incontra con Armida: conosciutisi in passato, allorché ella con le sue arti magiche aveva salvato Rinaldo da una schiera nemica, i due sono innamorati l’uno dell’altro, anche se l’eroe, a differenza di Armida, non l’ha mai palesato. La donna rimprovera il paladino perché, immemore dell’aiuto ricevuto, e del suo affetto, l’ha abbandonata per la gloria delle armi ed ora la combatte come una nemica. Rinaldo si discolpa, adducendo il suo dovere di cristiano e di soldato, ma non riesce a resistere ai rinnovati accenti d’amore di Armida e, dopo aver vacillato, si risolve a seguirla. La partenza dei due è però scoperta e bloccata da Gernando, il quale di fronte ai paladini accorsi accusa in modo ironico e sferzante Rinaldo di codardia: i rivali si battono e Gernando cade trafitto. I seguaci dei due si minacciano vicendevolmente; Goffredo, sdegnato, accusa Rinaldo e lo esorta a consegnarsi prigioniero. In una atmosfera di sgomento Rinaldo, consigliato da Armida, abbandona il campo seguito dalla maga.

Atto secondo

In un’orrida selva sull’isola della Fortuna, regno di Armida, sorge di sotto terra una schiera di demoni, fra cui Astarotte. Questi narra come Rinaldo sia ormai preda dell’amore per la maga e come ciò possa decidere le sorti della guerra. I demoni spariscono e su di un carro volante tirato da due draghi giungono Armida e Rinaldo in dolce conversazione d’amore. Armida giustifica il suo passato comportamento rivelando che ha accondisceso al piano di Idraote proprio per poter rivedere Rinaldo; e poiché ormai i paladini caduti in sua mano sono stati liberati proprio da lui, non esiste più tra loro alcun motivo di rancore e possono perciò abbandonarsi all’amore. Rinaldo ha perdonato Armida e non desidera altro che condividere con lei il loro reciproco sentimento, ma si stupisce che ella lo abbia condotto in un luogo così orrido. Allora Armida con un cenno trasforma la selva in un magnifico palazzo dove compaiono Geni, Ninfe, Amorini e Piaceri. I due amanti si abbandonano alla loro passione ed Armida, accompagnata da danze e cori di ninfe, inneggia alla giovinezza ed ai piaceri dell’amore. La maga infine evoca una visione allegorica: un giovane guerriero viene circondato da ninfe che fanno a gara per sedurlo, ed egli, dopo aver tentato di resistere, cede alla voluttà: le sue armi guerriere si tramutano in ghirlande di fiori.

Atto terzo

In uno splendido giardino incantato s’avanzano Ubaldo e Carlo, due guerrieri cristiani inviati da Goffredo di Buglione per tentare di sottrarre Rinaldo all’amore di Armida e per ricondurlo alla guerra santa: lo zio dello stesso Rinaldo, Guelfo, ha supplicato Goffredo e questi è disposto a perdonare l’eroe e ad accoglierlo. I due crociati hanno superato tutti gli incantesimi posti da Armida per rendere inaccessibile il giardino grazie ai doni magici ricevuti dal saggio d’Ascalona, mago ancor più potente di Armida ed Idraote; ora i guerrieri sono incantati dalla bellezza del luogo, ma comprendono che si tratta di un incantesimo maligno e con la loro verga magica respingono le ninfe che con canti e danze tentavano di soggiogarli. Si avvicinano Armida e Rinaldo, mentre Carlo ed Ubaldo si nascondono in una boscaglia; gli innamorati riaffermano il loro amore reciproco e promettono fedeltà costante. Armida si congeda da Rinaldo, al quale si mostrano Carlo ed Ubaldo: i compagni d’armi lo rimproverano aspramente perché mentre la guerra infuria ed ogni soldato combatte per la liberazione di Gerusalemme, proprio egli, il più valoroso fra tutti, vive abbandonato all’amore di un’infedele; gli porgono infine uno scudo scintillante nel quale Rinaldo può vedere riflessa la propria immagine ormai infiacchita ed imbelle. Rinaldo, esterrefatto, è in preda alla vergogna e al rimorso, ma si confessa ancora innamorato di Armida: incitato da Carlo ed Ubaldo, risolve il proprio conflitto interiore e, deciso a seguire la voce dell’onore e del cielo, parte con i suoi compagni. Armida, rientrando, scorge di lontano Rinaldo allontanarsi con i due crociati e, colta dalla sorpresa e poi dal furore, invoca le potenze infernali; ma la sua invocazione non riceve risposta e la maga decide così di inseguire l’amante traditore. All’esterno del palazzo di Armida, mentre Rinaldo è ancora afflitto per aver dovuto abbandonare la sua amata, Carlo ed Ubaldo ringraziano il cielo per essere usciti dal giardino incantato. Irrompe però Armida che, ancora incredula, chiede a Rinaldo perché voglia abbandonarla. L’eroe risponde con il cuore spezzato che il dovere lo chiama e che, comunque, manterrà sempre una dolce memoria del loro amore. Armida allora si dice disposta a seguirlo ovunque, a servirlo come un’ancella pur di non perderlo, ma egli, addolorato, la respinge. Il dolore sopraffà Armida che maledicendo Rinaldo per la sua crudeltà, gli chiede almeno di ucciderla per mettere fine ai suoi tormenti. Ma Rinaldo, trascinato da Carlo ed Ubaldo, parte ed Armida cade priva di sensi. Quando rinviene, rimasta sola ed in preda ad uno sconvolgente dolore, è avvicinata da una larva con le sembianze della Vendetta e da una con le fattezze dell’Amore; duramente combattuta, scaccia quest’ultima e giurando vendetta sale su di un carro tirato da draghi con il quale, tra fiamme e demoni, s’innalza in volo.