Tancredi

Soggetto

Tancredi, melodramma eroico in due atti su libretto di Gaetano Rossi, fu rappresentato per la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia il 6 febbraio 1813.

Interpreti della prima rappresentazione furono Pietro Todran (Argirio), Adelaide Malanotte-Montrésor (Tancredi), Luciano Bianchi (Orbazzano), Elisabetta Manfredini-Guarmani (Amenaide), Teresa Marchesi (Isaura), Carolina Sivelli (Roggiero).

Gli autografi sono conservati presso il Museo Teatrale alla Scala di Milano e a Bruxelles, Fondo Michotte; il finale tragico è presso l’Archivio del Conte Luigi Lechi a Brescia.

Il soggetto è tratto dalla tragedia Tancrède (1760) di Voltaire.

Antefatto

Al volgere dell’anno mille, la Sicilia era ancora teatro di feroci lotte tra Saraceni e l’impero di Bisanzio; orgogliosa della propria libertà, la città di Siracusa, sebbene sconvolta da lotte interne tra le famiglie patrizie di Argirio e Orbazzano, tentava di conservare l’indipendenza da entrambi i poteri.

Il giovane siracusano Tancredi, discendente di una nobile e ricca famiglia normanna, era stato cacciato dalla città per le invidie di alcuni potenti e, ingiustamente accusato di fedeltà alla corte bizantina, condannato come traditore.

Amenaide, figlia di Argirio, avendo vissuto per qualche tempo a Bisanzio, era stata corteggiata da Tancredi e dal temuto tiranno saraceno Solamir: la giovane, dopo aver giurato il suo amore a Tancredi, era tornata dal padre a Siracusa.

Atto primo

Galleria nel palazzo di Argirio in Siracusa. I membri delle due opposte fazioni cittadine, guidate da Orbazzano e da Argirio, si raccolgono per celebrare la riconciliazione: entrambi giurano fedeltà alla patria in lotta contro il saraceno Solamir. Per rendere più uniti i due partiti, Argirio acconsente a che la figlia Amenaide vada in moglie all’antico nemico della sua famiglia, Orbazzano (cui andranno parimenti i beni confiscati all’esiliato Tancredi): il gesto rappresenta anche un atto di sfida contro Solamir che ha offerto la pace a Siracusa qualora Amenaide gli fosse concessa in moglie. Amenaide, segretamente legata a Tancredi, ha appena spedito una lettera al suo innamorato e apprende con sgomento le intenzioni paterne: i suoi tentativi di rinviare lo sposalizio con Orbazzano risultano vani.

Parco delizioso nei pressi del palazzo di Argirio. Tancredi sbarca con il fido Roggiero; egli esulta nel toccare nuovamente il suolo della patria e al pensiero di rivedere Amenaide: per scoprire se la fanciulla gli è ancora fedele incarica quindi Roggiero di annunciare ad Amenaide che un “ignoto cavaliere” desidera parlarle. All’improvviso arrivo di Argirio e di Amenaide, Tancredi si nasconde; Argirio, appreso che Tancredi è segretamente sbarcato in Sicilia, intende affrettare le nozze e invita la figlia a rispettare le volontà paterne e a compiere i suoi doveri verso la patria: le nuove esitazioni della giovane, che non può confessare il suo vero amore per un uomo esiliato, sconfortano Argirio che giunge a minacciarla. Rimasta sola, Amenaide viene raggiunta da Tancredi uscito dal nascondiglio; la giovane, terrorizzata per la sorte dell’amato sul quale pende una condanna a morte, lo esorta a fuggire. Vane sono le insistenze di Tancredi per sapere le ragioni del suo cambiamento; in nome del loro amore, Amenaide lo invita a comprendere che le nuove circostanze impongono la loro separazione.

Piazzale pubblico di Siracusa vicino alle mura della città. Il popolo si raccoglie per festeggiare le nozze di Orbazzano e di Amenaide. Tancredi, credendo Amenaide infedele, si presenta ad Argirio prima che si compia il rito: senza rivelare la propria identità, l’“ignoto cavaliere” si offre come difensore di Siracusa. Alla vista di Tancredi, Amenaide, sconvolta, annuncia a tutti che, a costo della propria morte, non sarà mai sposa di Orbazzano. Questi giunge allora sulla piazza recando una lettera di Amenaide (quella inviata a Tancredi) intercettata mentre veniva portata da uno schiavo in campo nemico: nella missiva la giovane invita il destinatario a rientrare in Sicilia. Tutti, compreso Tancredi, la ritengono indirizzata a Solamir, mentre Amenaide non può rivelare la verità temendo di scoprire Tancredi. Tra lo sgomento e lo sdegno dei presenti, Amenaide è accusata di tradimento e condotta nelle carceri.

Atto secondo

Galleria nel palazzo di Argirio. Orbazzano, assetato di vendetta, reca la sentenza del senato che condanna a morte Amenaide. Argirio, combattuto tra la ragion di Stato e l’amore per la figlia, esita e sospende il proprio giudizio; prima di firmare la sentenza affronterà Solamir che crede essere il seduttore della figlia. Quando tutti si sono allontanati, Isaura, confidente di Amenaide, accusa Orbazzano di crudeltà e prega Dio di proteggere la giovane ingiustamente imprigionata.

Carceri di Siracusa. Amenaide attende la morte senza timore: ella sa che un giorno il suo amato Tancredi conoscerà la verità e che il padre potrà perdonarla. Entrano Orbazzano ed Argirio, il primo per scortare Amenaide al patibolo, il secondo, vinto dal suo amore paterno, per seguirla nella tomba. Amenaide rivendica invano la propria innocenza: in suo soccorso, tuttavia, giunge l’“ignoto cavaliere” (Tancredi) che si offre come campione e difensore della fanciulla sfidando Orbazzano. Mentre questi si avvia al luogo del duello, Tancredi, senza svelarsi, promette ad Argirio di salvare sua figlia. Allontanatosi Tancredi, Amenaide resta sola in attesa, pregando per la sorte dell’amato, finché il coro giubilante non annuncia la vittoria di Tancredi che ha ucciso Orbazzano.

Gran piazza di Siracusa. Il popolo acclama il vincitore del duello. Tancredi, ancora senza svelarsi, annuncia che partirà subito per una destinazione ignota. Invano giunge a trattenerlo Amenaide che egli crede colpevole di infedeltà: Tancredi non vuole ascoltare alcuna discolpa. Roggiero, rimasto solo, apprende da Isaura che Amenaide non ha tradito Tancredi e spera che presto la pace torni a regnare tra i due amanti.

Selva nei pressi dell’Aretusa circondata da monti. Tancredi lamenta la propria sorte: non può cessare di amare colei che l’ha tradito. Giungono intanto Amenaide e Argirio con altri paladini per chiedere al valoroso “ignoto cavaliere” di guidarli nell’ora del pericolo contro i feroci saraceni. Amenaide, allora, svela al padre l’identità di Tancredi: questi ha dimostrato di non essere un traditore ed ora è pronto a condurre i siracusani per salvare la patria. Amenaide tenta nuovamente di convincere l’amato della propria innocenza, ma Tancredi, sconvolto dal dolore, non la lascia parlare e si lancia verso la battaglia decisiva seguito da Argirio. Poco dopo rientrano Argirio e i cavalieri: Tancredi ha riportato piena vittoria sul nemico, ma è stato ferito a morte e invoca il nome di Amenaide. Entrano i cavalieri, portando l’eroe morente. Tancredi apprende da Argirio che la lettera che credeva inviata a Solamir era in realtà destinata a lui. Convinto finalmente dell’innocenza e dell’amore di Amenaide, chiede ad Argirio di unire la sua destra a quella della figlia e, dopo aver vissuto per vendicare la patria e la sua donna, muore amato da entrambe.