La pietra del paragone

Soggetto

La pietra del paragone, melodramma giocoso in due atti su libretto di Luigi Romanelli, fu eseguita per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 26 settembre 1812.

Interpreti della prima rappresentazione furono Maria Marcolini (Clarice), Carolina Zerbini (Aspasia), Orsola Fei (Fulvia), Filippo Galli (Asdrubale), Claudio Bonoli (Giocondo), Antonio Parlamagni (Macrobio), Pietro Vasoli (Pacuvio), Paolo Rossignoli (Fabrizio).

L’autografo della partitura – quasi completa – e quello separato della Sinfonia sono conservati presso l’Archivio di Casa Ricordi di Milano.

Atto primo

Numerosi invitati sono convenuti nel giardino della villa del Conte Asdrubale, un nobile saggio e magnanimo, rispettoso delle donne, ma che sembra non aver nessuna fretta di sposarsi. Alla sua mano aspirano la baronessa Aspasia, la marchesa Clarice e Donna Fulvia. Tra gli ospiti il ridicolo poeta Pacuvio tenta di recitare il suo ultimo parto, ma è sdegnato da tutti, con l’eccezione di Donna Fulvia che spera averlo complice nel tentativo di conquistare il Conte. Giungono intanto altri due litigiosi invitati: il presuntuoso giornalista Macrobio e il cavalier Giocondo, anche lui poeta, i quali finiscono per discutere su quale delle dame potrà finalmente spuntarla e ottenere la mano del Conte. Macrobio pensa che sarà la marchesa Clarice, con grande disappunto di Giocondo che della donna è segretamente innamorato. Nella scena rimasta vuota, Clarice ripensa alla insensibilità amorosa del Conte, ma è sorpresa dall’eco che ripete le sue ultime parole. Strana eco, dato che corrisponde alla voce stessa del Conte. Per scoprirne l’identità, Clarice si nasconde tra gli alberi. Credendosi solo, il Conte si interroga se non sia l’ora di sposarsi. Ma, conoscendo quanto la donna sia «ingannatrice», quale delle tre vedovelle che gli danno la caccia lo fa per amore e non per interesse? Clarice lo raggiunge e lo interroga: «L’eco è maschio o femmina?, dice la verità o inganna?». Il Conte simula distacco, ma in realtà è turbato, dato che il suo cuore propende per Clarice. Intanto non cessano le trame delle altre due aspiranti: Aspasia finge di accettare la corte di Macrobio con la speranza di ingelosire il Conte e Donna Fulvia progetta di presentarsi a lui con l’offerta di una rosa accompagnata da una sestina che ha commissionato a Pacuvio. Questi però le infligge prima un altro strambo parto poetico in «lingua patetica e burlesca». Solo dopo questa esibizione avviene l’offerta della rosa accompagnata da una sestina «petrarchesca» ironicamente accolta dal Conte che, a questo punto, decide di adoperare la «pietra del paragone» e cioè di mettere in atto un piano segreto per svelare l’autenticità dei sentimenti delle donne che aspirano alla sua mano. Con l’aiuto del maestro di casa, Fabrizio, si vestirà da africano e Fabrizio dovrà a tempo debito consegnargli una lettera già preparata.

Nelle stanze contigue al giardino, Giocondo consola Clarice che lamenta la scomparsa, da sette anni, di un fratello gemello. All’arrivo del Conte e di Macrobio nasce una disputa sui giornalisti che, secondo Asdrubale, non spiegano mai le loro opinioni. Ma questa di non spiegare le proprie azioni, a detta di Clarice, è una caratteristica dei tre uomini presenti. Mentre si discute, giunge Fabrizio con la lettera per il Conte che, dopo averla letta, si allontana ostentando grandissimo turbamento. Intanto Fulvia si interroga sulla strana accoglienza che Asdrubale ha riservato alla sestina di Pacuvio. Aspasia, a sua volta, va in cerca di Macrobio. Quando i quattro si incontrano, le due donne finiscono per bisticciare tra loro, mentre Macrobio ha il suo da fare per respingere la richiesta di Pacuvio di pubblicare sul giornale la sestina: tutti chiedono infatti di essere citati sul giornale, ballerine, cantatrici, virtuosi di ogni specie.

Nel giardino i lavoranti commentano lo strano atteggiamento del Conte, che si è ritirato malinconico nella sua stanza. Mentre Giocondo tenta di interessare ancora Clarice esponendosi all’ironia di Macrobio che rievoca Angelica e Medoro, sopraggiungono Aspasia e Fulvia con un annuncio sensazionale: il Conte ha perduto tutti i suoi averi, essendosi presentato un mercante straniero che chiede il pagamento immediato di una cambiale di sei milioni. Arriva il mercante (che altri non è che il Conte travestito) e poiché Fabrizio dichiara di non ritrovare la ricevuta di pagamento, si dovrà procedere a sigillare tutte le cose del Conte.

Nel cortile interno, quando Asdrubale, presentandosi nelle proprie vesti, chiede aiuto per essere rimasto privo di ogni sostanza, Clarice, partecipe della sua sventura, gli offre il cuore e la mano e Giocondo ospitalità. Tutti gli altri invece si preparano ad abbandonarlo. Sopraggiunge però Fabrizio trionfante che ha ritrovato la ricevuta. Il debito è estinto tra la gioia di Clarice e Giocondo e la sorpresa e la costernazione degli altri.

Atto secondo

Nel cortile interno le reazioni all’accaduto sono diverse. Aspasia e Fulvia ritengono di essere state esposte ad uno smacco e meditano vendetta. Macrobio e Pacuvio, che avevano promesso, ciascuno alla propria dama, di sfidare a duello il Conte e Giocondo, si profondono in scuse con Asdrubale che prende con ironia le loro parole. Pacuvio a parte si vanta con Fulvia di aver effettivamente sfidato Giocondo, di averlo vinto e di avergli concesso salva la vita. La storia è naturalmente inventata e, per evitare di essere smascherato, Pacuvio dice di aver promesso di mantenere segretissima l’onta di Giocondo. Il Conte si allontana dopo aver invitato tutti alla caccia. Aspasia intanto, appreso del presunto duello di Giocondo, per non essere da meno, intima a Macrobio di sfidare il Conte.

Nel bosco il coro dei cacciatori deride Pacuvio, impacciato col suo fucile. Scoppia un temporale e il terrore del poeta, che cerca di salvare almeno i propri scritti, aumenta. Giunge Giocondo, triste perché immagina Clarice tra le braccia del Conte. Ma ecco apparire la stessa Clarice che lo invita a rinunciare all’amore a favore dell’amicizia. Fa però una promessa: se un giorno i suoi sentimenti dovessero cambiare, sarà lui il prescelto. Mentre i due dialogano, sono visti da Macrobio, Aspasia e dal Conte stesso che, ritenendosi tradito, inveisce contro l’infedeltà della donna.

Nelle stanze interne Donna Fulvia è ancora alle prese con le prodezze poetiche di Pacuvio. Quando i due si allontanano, sopraggiunge Giocondo che cerca di convincere il Conte dell’innocenza di Clarice e di invitarlo a decidersi per le nozze. Ma Asdrubale è ancora indeciso per un passo impegnativo come il matrimonio. Meglio per ora divertirsi colla sfida che gli ha promesso Macrobio. Stanno per allontanarsi quando entra Clarice, lieta per una lettera con la quale il gemello Lucindo, che le somiglia come una goccia d’acqua, le annuncia il suo ritorno in città. Il Conte si affretta ad invitarlo in casa sua, secondando così il segreto piano della donna. [Anche Pacuvio reca una lettera con la quale si annuncia l’arrivo del famoso maestro Petecchia. Ne approfitta Clarice per recitare un sonetto di Giocondo che narra un sogno nel quale uno stuolo di musici invidiosi si avventa sulla salma di Cimarosa per farla a pezzi]1. Intanto Donna Fulvia è ancora alle prese con Pacuvio, timoroso per il fatto che ella ha divulgato il segreto dell’avvenuto duello, un segreto che potrebbe finire sul giornale di Macrobio. Ma Donna Fulvia ne è contenta: se pubblico fu l’oltraggio, pubblica deve essere la pena. E’ giunta intanto l’ora di altri due duelli. Macrobio, terrorizzato, si vede offrire la pistola da Giocondo che lo sfida intendendo lavare l’onta di aver diffuso la falsa notizia della sua presunta sconfitta e della sua viltà. Mentre Macrobio non sa come sfuggire a questa prima sfida, giunge il Conte con due domestici che portano due spade. Poiché Macrobio non ha avuto il coraggio di sfidarlo, sarà il Conte stesso a sfidare lui. Giocondo non accetta di farsi precedere dal Conte e, in conseguenza, si procederà prima ad un duello tra il Conte e Giocondo, il vincitore poi si batterà con Macrobio. Questi non fa in tempo a respirare, che i due, intenti a divertirsi alle sue spalle, sospendono il duello ancor prima di iniziarlo. Il Conte, magnanimo, ha mutato parere e decide che la precedenza deve comunque spettare a Giocondo che è suo ospite. A questo punto il terrorizzato Macrobio supplica di trovare una via di uscita. Questa ci sarà: è sufficiente che egli accetti di dichiararsi poltrone, venale, un ridicolo cicisbeo e perfino il fiore degli ignoranti, tanto in versi quanto in prosa. Al povero giornalista non resta che accettare questi duri epiteti.

Siamo ora nel villaggio dove si aggira Pacuvio inseguito da Fulvia furibonda: ha appreso che il famoso duello di cui il poeta si vantava vincitore non c’era mai stato. Aspasia a sua volta vuol conoscere da Macrobio l’esito dell’altro duello. Li interrompe Fabrizio che annuncia l’arrivo di Lucindo, il gemello di Clarice (che altri non è che Clarice travestita da capitano che intende così sperimentare una propria pietra del paragone) il quale fa il suo ingresso accompagnato dai soldati e dopo aver arringato la truppa, entra col seguito in casa del Conte. Sulla piazza Pacuvio, Macrobio, Aspasia e Donna Fulvia commentano in vario modo la somiglianza tra i gemelli, assai scarsa per le due donne, dato che Lucindo, a loro avviso, è molto più bello e anzi val la pena di corteggiarlo. Detto fatto entrano anch’esse in casa del Conte, dove il capitano sta annunciando ad Asdrubale che non vedrà più sua sorella e che anzi essa sarà data in sposa a Giocondo. Questi però rifiuta in nome dell’amicizia. Di conseguenza Lucindo porterà Clarice lontano e il Conte non potrà mai più vederla. A questo annuncio Asdrubale, finalmente consapevole dell’intensità del proprio amore, è preso dalla disperazione e si allontana, seguito da Giocondo, invocando la morte. Poco dopo rientra Fabrizio recando una carta vergata dal Conte da far firmare a Lucindo a nome di Clarice. Ad avviso di Donna Fulvia non può essere che un impegno di matrimonio. Lucindo firma e poco dopo rientra col Conte che ha riconosciuto nella firma la scrittura di Clarice e ritiene dunque che ella sia tornata e non sia affatto lontana. Fabrizio nega, ma il Conte interroga direttamente Lucindo, il quale, dopo aver chiesto e ottenuto perdono per lo stratagemma usato e la destra di Asdrubale in pegno per la sorella, tra lo stupore universale si svela: «Lucindo non tornò, Clarice io sono». Il travestimento dunque non è stato altro che uno stratagemma suggerito da Amore. Aspasia e Fulvia restano scornate, al pari di Macrobio e Pacuvio, che si consolano all’idea della festa di nozze. Nella gioia universale dell’annunciato matrimonio il Conte deve ammettere che, se nel passato è stato avaro di stima per le donne, ora ha finalmente imparato a rispettarle.