
Perchè vedere Zelmira
Ci sono opere la cui trama si può raccontare in due parole (Iago convince Otello che sua moglie è infedele e Otello la uccide) e altre per cui non basterebbe una serata intera davanti al camino. Ma sappiamo che il successo o l’insuccesso non ha nulla a che vedere con l’intreccio. Ne è prova Zelmira, ultima opera scritta da Rossini per Napoli e perla della sua tournée trionfale a Vienna (1822), con cui soverchiò tutti i musicisti di lingua tedesca presenti e passati (tra cui, tanto per fare i nomi, Weber, Mozart, Beethoven, Schubert: scusate se è poco!) e facendo sussultare d’entusiasmo un certo Hegel…
Gli avvenimenti raccontati in Zelmira sono oscuri tanto da rendere necessario un lungo antefatto. È un po’ come Il trovatore; ma al pari del Trovatore l’oscurità della trama non va a scapito della grandezza dell’opera. Al centro della vicenda c’è l’eroina eponima ingiustamente accusata di essere un’omicida (del padre Polidoro, re di Lesbo, dell’usurpatore Azor e potenzialmente anche del marito Ilo), che passa il tempo a cercare di discolparsi provando a non mettere a repentaglio la vita di coloro che ama (e da cui, sia detto en passant, non riceve nessun apprezzabile sostegno). Ammirevole donna, Zelmira, ma anche estremamente ingenua. Già, perché i personaggi sembrano tutti in preda a un continuo accecamento; a dire il vero sono soprattutto gli uomini, che esercitano il potere o vi aspirano, a fare una ben magra figura. E si può dire che è proprio quest’accecamento, questa tenebra in cui si muovono i caratteri, che rende possibile Zelmira. Le situazioni di Zelmira sono occasioni perfette per fare musica: fin dal primo coro che piange la morte di Azor, passando per il finale del primo atto dove Zelmira viene colta con un pugnale in mano fornendo lo spunto per un magnifico concertato di stupore, fino al rondò della protagonista, e in mezzo arie tra le più pirotecniche concepite fino ad allora. Dal baule inesauribile esce una musica che sovrasta tutto: i personaggi, la trama, e anche il pubblico. Piangiamo e ci rallegriamo presi dalla singola situazione, pervasi di musica il cui effetto è calcolato al millimetro. Che cosa importa il motivo per cui succede una cosa o un’altra, se il risultato è tanto grande?
Rossini sferrò con Zelmira il colpo decisivo con cui diventò il musicista più importante d’Europa. Del resto l’aveva scritta per il cast straordinario di cui poteva disporre a Napoli (due tenori di prim’ordine, la primadonna per eccellenza, Isabella Colbran presto signora Rossini, e comprimari che avrebbero fatto i protagonisti in qualunque altro teatro che non fosse stato il San Carlo); ed eccezionalmente lo stesso cast lo seguì a Vienna. L’eco di Zelmira fu immensa: finalmente – o purtroppo, secondo alcuni – la musica italiana assurgeva ai vertici di complessità della musica tedesca senza perdere il suo orizzonte costituito da melodie indimenticabili.
Pari alla mole, monumentale, e alla difficoltà della musica, è l’edizione critica di Zelmira curata per la Fondazione Rossini da Helen M. Greenwald e Kathleen Kuzmick Hansell. Si pensa (a torto) che l’edizione critica consista nella restituzione di quello che c’è nell’autografo; è invece un percorso lungo e complesso nel pensiero di un compositore, di un poeta, di una società intera. In questo caso l’autografo è superstite, rimasto sotto il controllo di Rossini per molto tempo, steso con molta accuratezza. Ma questo prezioso manoscritto non basta poiché non esiste una sola Zelmira. Rossini portò infatti quest’opera a Vienna, a Londra, a Parigi, ogni volta modificando o accettando cambiamenti per nuovi pubblici e nuovi interpreti. Per ricostruire tutte le versioni cui presiedette Rossini l’edizione critica ha dunque preso in esame una cospicua messe di ulteriori fonti, tra le quali l’autografo del Coro ed Aria Emma, un tempo di proprietà di Richard Bonynge e Joan Sutherland, oggi parte della collezione della Fondazione Rossini e conservato nel Tempietto rossiniano. Il lavoro editoriale ha perciò permesso da una parte di ricostruire un “testo” tutto sommato stabile, dall’altra di mostrare e rendere disponibile agli esecutori ogni volta una faccia diversa di Zelmira, dovuta alla somma adattabilità ed efficacia dell’opera italiana.
Non è sorprendente che ai tempi di oggi sia raro vedere in scena un’opera come Zelmira, che presenta a ogni angolo una sfida per il regista, per lo scenografo, per i musicisti e soprattutto per i cantanti. Ma la ricompensa è enorme. Chi verrà a Pesaro godrà di un’esperienza indimenticabile: mai Rossini è stato fino in fondo così tanto Rossini. Daniele Carnini
Pubblicata il : 30 Aprile 2025