L’intervista del mese

28 Dicembre 2023
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Alexia Mariotti, responsabile della Segreteria. Ci racconti le tue esperienze professionali prima dell'ingresso al ROF? 
”Ho iniziato presto a lavorare al ROF, a 24 anni; prima di allora ho svolto qualche lavoretto, supplenze a scuola, impiegata part time; nel frattempo studiavo Lettere moderne all’Università di Urbino con un piano di studi tutto incentrato sulla letteratura teatrale e mi preparavo, con tiepido entusiasmo, a sostenere i concorsi che mi avrebbero consentito di insegnare nella scuola primaria. Il teatro di prosa era, ed è tuttora, una delle mie grandi passioni e il sogno, inconfessato, di poter lavorare un giorno nell’organizzazione teatrale (per la mia famiglia il teatro non era un vero lavoro, suvvia) all’epoca era poco più che una chimera”.

Qual è stato il tuo primo contatto con il Festival?
”Era il 1995, mi presentai per un colloquio come addetta ai servizi generali per l’edizione del ROF in preparazione. Naturalmente conoscevo il ROF per fama e ne ero incuriosita, ma per la mia esperienza il teatro coincideva con la prosa e non avevo mai assistito a un’opera lirica! Tuttavia mi sembrava una buona occasione per avvicinarmi a quello che consideravo il lavoro dei miei sogni e mi buttai. Il colloquio fu condotto dall’allora Direttore dei teatri del Comune di Pesaro Alberico Miniucchi e lo ricordo nei dettagli, come fosse avvenuto ieri; fu un momento intenso, che sostenni con grande emozione, pur nella consapevolezza che non mi avrebbero presa mai. Mi presero. La telefonata con la quale mi comunicarono l’esito fu bizzarra e suonava più o meno così: ‘Il posto è tuo, se davvero lo vuoi: lavorerai solo per un mese, l’orario lo decidiamo noi, di sera si lavora, a Ferragosto si lavora, avrai un giorno libero a settimana ma scordati le domeniche. Inoltre non ti occuperai dei servizi generali, ci servi in amministrazione. Accetti?’ Ci pensai giusto un secondo e, incurante di un rapporto con i numeri piuttosto confuso, imprudentemente accettai. La mattina di uno dei miei primi giorni di lavoro mi mandarono a svolgere una commissione al PalaFestival. Entrando, mi voltai distrattamente verso il palco e quello che vidi mi lasciò senza fiato: sul palcoscenico c’era un bosco, vero! No, non vero – mi dissi – è impossibile… eppure… Era il bosco del Guillaume Tell, pensato da Pier Luigi Pizzi, realizzato dai nostri straordinari tecnici. Non avevo mai visto niente di così bello in tutta la mia vita e quello fu l’istante in cui intimamente seppi che ero esattamente dove dovevo essere. I successivi 10 anni passarono nel cocciuto tentativo di convincere anche il resto del mondo che quello fosse effettivamente il posto dove dovevo essere, svolgendo ogni tipo di impiego che mi permettesse di avere l’estate libera, rifiutando svariati lavori ‘sicuri’, battagliando contro la mia famiglia e contro il buon senso. Andò bene e dal 2008 svolgo il ruolo di segreteria di Sovrintendenza”.

Ci spieghi in cosa consiste il tuo lavoro?
”Le mansioni di una segreteria come quella del ROF sono così varie e trasversali che non è facile definirle. Materialmente seguo le agende dei capi, redigo contratti, revisiono testi, mi occupo della preparazione dei Consigli di amministrazione, ma c’è una parte del lavoro che è più sfuggente, dai contorni meno delineati. Il Sovrintendente Ernesto Palacio qualche anno fa si è pubblicamente rivolto a me chiamandomi ‘badessa’. Inutile dire che l’appellativo ha riscosso successo fra i miei colleghi ed è diventato il mio soprannome. Direi dunque che questo è il fulcro e il senso del mio lavoro: mi prendo cura del convento”.

Qual è il ricordo che ti è più caro della tua esperienza al ROF? 
“Non è facile rispondere a questa domanda, ho la fortuna di lavorare in un ambiente che mi ha permesso di accumulare una quantità enorme di ricordi preziosi. Un filo comune però li attraversa, poiché sono tutti frutto di incontri speciali. La segreteria di un festival internazionale come il ROF è un crocevia di incontri e l’eccezionalità delle persone con le quali ho il privilegio di relazionarmi è stupefacente. Forse il ricordo più caro coincide dunque con l’incontro più significativo: essere la segretaria del Sovrintendente mi ha permesso di lavorare per anni a stretto contatto con Gianfranco Mariotti. All’inizio non è stato facile, io sono molto timida, lui ha una personalità adamantina, ho temuto di uscirne malconcia. Non è accaduto. Al contrario, lavorare al suo fianco ha rappresentato davvero tanto per me: certamente è stato un grande onore, provo un senso di vertigine ogni volta che penso a ciò a cui ha saputo dare vita; è stato poi tremendamente divertente, e parlo proprio di quel divertimento di quando si è bambini, quello che ti riempie di stupore, che ti fa imparare cose nuove ogni giorno, che ti permette di sperimentarti in faccende tanto più grandi di te pur sentendoti sempre al sicuro; è stata infine la mia più importante opportunità di crescita, professionale ma soprattutto umana. Sembra retorico ma non lo è. A causa del mio cognome, per tutta la mia vita lavorativa la domanda che mi è stata rivolta più di frequente è se io fossi o meno la figlia di Gianfranco Mariotti, e ogni volta ribadisco con forza che non lo sono. Ed è la verità, ma verità è anche che Mariotti è un po’ il padre di tutti noi che facciamo parte di questo strano microcosmo che è il ROF, che in fondo – duole dare ragione ai miei – somiglia tanto più a una famiglia che a un vero lavoro”.